Ricorso della provincia autonoma di Bolzano, in persona del presidente della giunta provinciale pro-tempore dott. Luis Durnwalder, giusta deliberazione della giunta n. 2563/91 del 27 maggio 1991, rappresentata e difesa - in virtu' di procura speciale del 30 maggio 1991 (rep. n. 16128) autenticata dall'avv. Giovanni Salghetti Drioli, vice segretario della giunta ed ufficiale rogante - dagli avvocati professori Sergio Panunzio e Roland Riz e presso il primo di essi elettivamente domiciliata in Roma, piazza Borghese n. 3, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica, per il regolamento di competenza in relazione al decreto del Ministro della sanita' 26 marzo 1991, recante "Norme tecniche di prima attuazione del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 236, relativo all'attuazione della direttiva CEE n. 80/778 concernente la qualita' della acque destinate al consumo umano, ai sensi dell'art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183" nel suo complesso e con particolare riguardo agli artt. 8, primo comma, e 10 del decreto stesso. F A T T O 1. - In attuazione della direttiva del Consiglio della CEE n. 80/778 del 15 luglio 1980 e della delega contenuta nell'art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183, venne emanato il d.P.R. 24 maggio 1988, n. 236, recante "Attuazione della direttiva CEE n. 80/778 concernente la qualita' delle acque destinate al consumo umano, ai sensi dell'art. 15 della legge 15 aprile 1987, n. 183". Come dice il suo art. 1, il d.P.R. n. 236/1988 "stabilisce i requisiti di qualita' delle acque destinate al consumo umano, per la tutela della salute pubblica e per il miglioramento delle condizioni di vita ed introduce misure finalizzate a garantire la difesa delle risorse idriche". Infatti il decreto presidenziale, oltre a stabilire specifici requisiti di qualita' delle acque (art. 3), fra l'altro disciplina le aree di salvaguardia e le zone di tutela, di rispetto e di protezione delle risorse idriche (artt. 4 e 7), i controlli qualitativi e sanitari sulle acque (artt. 10 e 12), i controlli degli acquedotti (artt. 13 e 14), ecc. Il decreto presidenziale, inoltre, definisce le funzioni, rispettivamente, di competenza statale (art. 8) od invece regionale (art. 9). In particolare fra le competenze statali sono incluse le funzioni concernenti le norme tecniche per la tutela ed il risanamento della qualita' delle acque, nonche' per la individuazione delle aree di salvaguardia delle risorse idriche (art. 8, primo comma, lett. d)), le norme tecniche per l'installazione degli impianti di acquedotto (art. 8, primo comma, lett. e)), le norme tecniche per la potabilizzazione delle acque (art. 8, primo comma, lett. f)), e le norme tecniche relative ai pozzi d'acqua (art. 8, primo comma, lett. g)). In base al secondo comma dell'art. 8 spetta al Ministro della sanita' di concerto con il Ministro dell'ambiente la competenza ad emanare le norme tecniche di cui alla lett. d) del primo comma; mentre per le norme tecniche di cui alla lett. f) e' competente il solo Ministro della sanita'; e per quella di cui alle lettere e ) e g) e' competente il Ministro dei lavori pubblici di concerto con i Ministri della sanita' e dell'ambiente. Il terzo comma dell'art. 22 del d.P.R. n. 236/1988 stabilisce infine che le "norme tecniche di prima attuazione" sono da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto stesso. La disciplina del d.P.R. n. 236/1988 che si e' sin qui richiamata riguarda pero', fondamentalmente, le sole regioni ad autonomia ordinaria. Infatti per le regioni ad autonomia speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano l'art. 20 del decreto presidenziale fa espressamente "salve" le rispettive competenze. La materia disciplinata dal d.P.R. n. 236/1988 nei suoi vari aspetti, rientra invero nelle competenze (legislative ed amministrative) della provincia autonoma ricorrente. Non solo in quelle di tipo concorrente (art. 9, primo comma, nn. 9 e 10, dello st. T.-A.A.) concernenti la utilizzazione delle acque pubbliche, e l'igiene e sanita'. Ma anche in quelle di tipo esclusivo concernenti l'urbanistica, la tutela del paesaggio, l'agricoltura ed il patrimonio zootecnico ed ittico (art. 8, primo comma, nn. 5, 6 e 21 dello st. T.-A.A.). Era dunque logico ritenere che la disciplina del d.P.R. n. 236/1988 non potesse incidere sulle competenze provinciali relative, in particolare, all'accertamento ed al controllo della qualita' delle acque destinate al consumo umano, sia a tutela della salute pubblica che a difesa delle risorse idriche. 2. - Cio' premesso, nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 10 aprile u.s. e' stato pubblicato il decreto del Ministro della sanita' 26 marzo 1991, indicato in epigrafe, che risulta dal suo preambolo essere stato emanato ai sensi dell'art. 22, terzo comma, del d.P.R. n. 236/1988. Tale decreto ministeriale, con i suoi numerosi allegati, detta una disciplina riguardante vari aspetti della materia trattata dal d.P.R. n. 236/1988: dalle attivita' di controllo sulle acque e sugli acquedotti (artt. 1 e 3), alla emanazione da parte delle unita' sanitarie locali dei giudizi di qualita' ed idoneita' d'uso delle acque (artt. 3 e 4), alla adozione - da parte dei sindaci o dei presidenti delle giunte regionali - di provvedimenti cautelativi contingibili ed urgenti (art. 5), all'adozione da parte delle regioni di norme per gli approvvigionamenti idrici di emergenza (art. 6), ecc. Ai fini del presente ricorso viene in particolare evidenza la disciplina stabilita degli artt. 8, primo comma, e 10 del decreto ministeriale in questione. L'art. 8 (che si intitola "Attivita' di vigilanza") recita al primo comma che: "Ferme restando le attribuzioni delle amministrazioni dello Stato e degli anti territoriali e locali defi- nite dalla vigente legislazione, le funzioni ispettive per la vigilanza sull'applicazione del presente decreto possono essere svolte da ispettori nominati con apposito decreto del Ministero della sanita'. Detti ispettori possono accedere ad ogni impianto e/o sede di attivita' di cui al presente decreto e richiedere tutti i dati, le informazioni ed i documenti necessari per l'espletamento delle funzioni. Essi sono muniti di documento di riconoscimento rilasciato dall'autorita' che li ha nominati e sono ufficiali di polizia giudiziaria per l'epletamento delle funzioni loro attribuite". Al successivo secondo comma l'art. 8 aggiunge poi che per l'applicazione dello stesso decreto le regioni possono disporre ispezioni nell'ambito delle proprie competenze avvalendosi di proprio personale. L'art. 10 del decreto ministeriale, infine, stabilisce che "I compiti affidati alle regioni dal presente decreto si intendono conferiti per il Trentino-Alto Adige alle province autonome di Trento e di Bolzano". Norma, quest'ultima, che dunque sembra equiparare la posizione della provincia autonoma ricorrente a quella delle regioni ad autonomia ordinaria, ed estendere anche ad essa la disciplina del decreto ministeriale in questione (ivi compresa quella, in particolare, relativa alla funzione ispettiva ministeriale). La surriferita disciplina stabilita dal d.m. 26 marzo 1991, ove ritenuta applicabile anche alla provincia autonoma di Bolzano, e' peraltro gravemente lesiva delle sue attribuzioni costituzionali, onde essa si vede costretta, con il presente atto, a sollevare il conflitto per i seguenti motivi di D I R I T T O 1. - Violazione delle attribuzioni costituzionali della provincia ricorrente di cui agli artt. 8, primo comma, nn. 5, 6 e 21; 9, primo comma, nn. 9 e 10; 16, primo comma, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e relative norme d'attuazione (in particolare d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279; d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381; d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474; d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526, e successive modificazioni). Fra le competenze della provincia autonoma di Bolzano che opportunamente l'art. 20 del d.P.R. n. 236/1988 ha voluto dichiarare "fatte salve" rientra certamente anche l'attivita' di vigilanza sul rispetto della disciplina della qualita' delle acque potabili nei suoi vari aspetti, a partire dalla vigilanza sul rispetto dei prescritti requisiti di qualita' e sulla effettuazione delle attivita' di controllo sulle acque, sugli impianti e sugli acquedotti. Del resto lo stesso d.P.R. n. 236/1988, anche in relazione alle regioni ad autonomia ordinaria, non ha riservato allo Stato le attivita' di vigilanza e controllo in materia. Infatti l'art. 8 riserva allo Stato solo quelle di indirizzo e coordinamento (art. 8, primo comma, lett. a)), fra cui non potrebbero certo ricomprendersi l'attivita' di vigilanza e le funzioni ispettive. C'e' di piu'. Ancora lo stesso d.P.R. n. 236/1988 espressamente riconosce alle regioni ad autonomia ordinaria - che in materia vantano solo competenze concorrenti - l'esercizio dei poteri sostitutivi, in caso di inerzia degli enti locali, per la salvaguardia delle risorse idriche (art. 9, primo comma, lett. b)), ed inoltre attribuisce ad esse il potere di individuare le unita' sanitarie locali competente ad effettuare i controlli sugli acquedotti, allorquando questi ricadono nell'area di competenza di piu' unita' sanitarie o di piu' servizi e presidi multizonali. Poteri tutti, cioe', collegati alla funzione di vigilanza regionale. Tanto piu' certo e', dunque, che solo alla provincia autonoma ricorrente - che in materia ha, come si e' visto, non solo competenze di grado concorrente, ma anche esclusivo - spetta di esercitare nel proprio territorio le attivita' di vigilanza sull'applicazione della disciplina sulla qualita' delle acque stabilita dal d.P.R. n. 236/1988, come pure dallo stesso d.m. 26 marzo 1991: ivi compresa, percio', quella funzione ispettiva di cui tratta l'art. 8 di quest'ultimo decreto ministeriale. Se, dunque, l'art. 8 del decreto ministeriale in questione si applica anche alla provincia autonoma ricorrente, come sembrerebbe doversi desumere dall'art. 10 dello stesso decreto, e se - di conseguenza - anche nel territorio della provincia possono svolgere l'attivita' ispettiva gli ispettori nominati dal Ministro della sanita', e' chiaro allora che cio' comporta una lesione delle attribuzioni costituzionali della provincia ricorrente. Infatti si tratta di una attivita' che, nel territorio provinciale, e' riservata alla provincia stessa, e non allo Stato. Ne' puo' essere un semplice decreto ministeriale a derogare validamente all'ordine delle competenze in materia. Nell'ipotesi, quindi, che la disciplina in questione sia applicabile anche alla provincia autonoma ricorrente, il decreto ministeriale impugnato, specie relativamente agli artt. 8, primo comma, e 10, risulta essere lesivo delle attribuzioni costituzionali della provincia stessa. 2. - Violazione delle attribuzioni costituzionali di cui alle norme gia' indicate, anche in relazione agli artt. 8 e 22 del d.P.R. n. 236/1988 ed al principio di legalita'. Si e' detto come l'art. 10 del decreto ministeriale impugnato manifesta l'intendimento del Governo di equiparare la provincia autonoma ricorrente alle regioni a statuto ordinario, facendola anch'essa destinataria di ogni prescrizione ed obbligo imposto a qeste ultime dallo stesso decreto. Ma cio' appare inconciliabile con la particolare autonomia della provincia ricorrente e con le specifiche competenze (anche di tipo esclusivo) che essa vanta in materia, che infatti il d.P.R. n. 236/1988 aveva inteso salvaguardare con la norma dell'art. 20. Per cio' stesso, dunque, in virtu' di tale inammissibile equiparazione, la complessiva disciplina contenuta nel decreto impugnato e' lesiva delle attribuzioni costituzionali della provincia autonoma ricorrente, e dovranno essere annullate in parte qua. Ma la violazione delle competenze provinciali ad opera del decreto ministeriale impugnato sussiste anche sotto un ulteriore e piu' radicale profilo. Ci si riferisce al fatto che il decreto in questione e' palesemente illegittimo, nel suo complesso, anche perche' adottato da una autorita' di Governo incompetente ad intervenire in materia. Il decreto ministeriale, cioe', non solo e' lesivo delle attribuzioni provinciali perche' contiene una disciplina incompatibile con la speciale autonomia spettante in materia alla provincia ricorrente, ma anche (ed ancor prima) perche' l'atto statale lesivo e' stato emanato da una autorita' - il Ministro della sanita' - che comunque non e' competente a dettare quella disciplina. Valga il vero. Il decreto ministeriale impugnato afferma di contenere le "norme tecniche di prima attuazione" di cui all'art. 22, terzo comma, del d.P.R. n. 236/1988. Tali norme tecniche, evidentemente, non possono validamente intervenire al di la' dei confini di materia segnati dalle lettere da d) a g) dal primo comma dell'art. 8 dello stesso decreto presidenziale n. 236, che poi al secondo comma ripartisce le rispettive competenze fra i vari ministri interessati. Orbene, in primo luogo e' evidente che gran parte della disciplina contenuta nel decreto impugnato non ha il carattere di normativa "tecnica": basti pensare, per esempio, all'art. 5, che disciplina i provvedimenti contingibili ed urgenti di competenza del sindaco o del presidente della giunta regionale (caso singolare di un potere del genere attribuito da un decreto ministeriale anziche' dalla legge³); ma si considerino anche - sempre a titolo di esempio - gli artt. 6, 7, 9 e lo stesso art. 8 gia' esaminato. La disciplina contenuta in questi (ma anche in altri) articoli del decreto ministeriale, nulla ha a che fare con le "norme tecniche" di cui parla il d.P.R. n. 236/1988. Per questa parte (che e' in realta' la maggior parte) il decreto e' sfornito di base legale ed il Ministro della sanita' era del tutto incompetente ad emanarlo. La lesione delle attribuzioni provinciali si collega dunque anche alla violazione degli artt. 8 e 22, terzo comma, del d.P.R. n. 236/1988 e dello stesso principio di legalita' degli atti amministrativi. Ma non basta. Anche a volere ammettere (in denegata ipotesi) che il decreto ministeriale in questione contenga delle norme tecniche, queste - come si e' detto - debbono pero' contenersi nei limiti di oggetto fissati dall'art. 8 del d.P.R. n. 236/1988, che costituiscono anche i limiti delle competenze ministeriali in materia. Orbene, si potra' tutt'al piu' ritenere che talune delle norme contenute nel decreto ministeriale in questione (e soprattutto negli allegati) possano essere ricondotte alla previsione di cui alla lett. d) dell'art. 8 del d.P.R. n. 236/1988 (norme tecniche per la tutela preventiva e per il risanamento della qualita' delle acque destinate al consumo umano, ecc.): per esempio talune delle norme di cui all'art. 1 del decreto ministeriale in questione. Certamente sono estranee al contenuto del decreto ministeriale le ipotesi di cui alle lettere da e) a g) dell'art. 8. Ma anche in questo caso il decreto ministeriale impugnato risulta essere stato emanato da una autorita' incompetente, e comunque in violazione dell'art. 8 del d.P.R. n. 583/1988. Quest'ultimo, infatti, stabilisce al secondo comma che la competenza ad emanare le "norme tecniche" di cui alla lett. d) del primo comma spetta al Ministro della sanita' di concerto con il Ministro dell'ambiente. Invece il decreto ministeriale 26 aprile 1991 e' stato emanato dal solo Ministro della sanita' senza concerto con il Ministro dell'ambiente. Ad abundantiam ricordiamo come, in base al secondo comma dell'art. 8 del d.P.R. n. 236/1988, l'unico caso in cui il Ministro della sanita' e' competente ad emanare da solo delle norme tecniche e' quello della lett. f) del primo comma: cioe' "le norme tecniche per la potabilizzazione delle acque". Orbene, se non andiamo errati, nel decreto ministeriale in questione non c'e' nessuna norma che specificamente riguardi la potabilizzazione delle acque; comunque e' sin troppo evidente perche' ci si debba soffermare ad illustrarlo il fatto che il decreto ministeriale in questione (come dice del resto il suo titolo) nel suo complesso non riguarda minimamente la potabilizzazione delle acque. Pertanto la lesione delle attribuzioni provinciali prodotta dal decreto impugnato, anche in relazione a quanto si e' detto da ultimo, si collega ancora una volta alla violazione degli artt. 8 e 22, terzo comma, del d.P.R. n. 236/1988.